Tornare a Suzuka
Era il 5 ottobre 2014 quando, alla curva Dunlop del circuito di Suzuka, Jules Bianchi perse il controllo della propria vita. Per perdere tutto, il pilota francese ha dovuto aspettare fino allo scorso 18 luglio. Oltre nove mesi in coma, prima della mesta chiusura: l’ultimo era stato Ayrton Senna, oltre vent’anni prima. Ma adesso l’ultimo è diventato Jules Bianchi, e il circus della Formula 1 ritorna sul luogo del delitto.
È una prassi anche sensata, quella di tornare: come un fantino disarcionato deve subito risalire a cavallo, e difatti la Formula 1 non si è fermata; ma tornare a correre proprio lì, ripassare per la curva Dunlop, non sarà proprio la stessa cosa. Già è stato difficile nella gara ungherese: la cerimonia in ricordo del defunto collega, Felipe Massa emozionato che sbaglia la piazzola per il via, fino al saluto finale di Vettel («Merci, Jules, cette victoire est pour toi. You’ll always be in our hearts, we know that sooner or later Jules would have been a part of this team»).
In un anno sono cambiate molte cose: la Ferrari (della cui Driver Academy Jules era il pilota di punta), dopo una cura dimagrante, non parte mai battuta ed è tornata a lottare per le prime file; la McLaren ha preso Alonso (unico assente ai funerali, ma anche autore del messaggio di ricordo più appassionato) e si ritrova nelle retrovie, davanti alla sola Manor che è l’erede della sua Marussia, e che deve al suo nono posto a Montecarlo buona parte della propria esistenza in vita (metà del budget della scuderia deriva dai premi dovuti al nono posto nel mondiale costruttori, grazie a quel piazzamento).
Sono cambiate diverse cose anche a Suzuka: è stato rivisto il sistema di drenaggio della pista, con l’asfalto in più punti dotato di strisce porose, e con nuove canaline per il deflusso dell’acqua. Perché Adrian Sutil era uscito per acquaplaning, un giro prima di Bianchi. E, ovviamente, adesso dietro la Dunlop è stata posta una gru. Sutil, oggi terzo pilota della Williams, non correrà; ma è facile pensare che aspetterà il primo scroscio di pioggia per vedere le migliorie all’opera. Testimone oculare dell’incidente, per tutta la vita ricorderà quella curva.
A Suzuka si erano decise soltanto alcune carriere (tra queste, quella di Senna); un anno fa, si è decisa una vita. Quella di un campione mancato troppo presto, per una serie infinita di coincidenze: si può discutere all’infinito se il pilota stesse andando troppo veloce (… peccato veniale, per chi corre in Formula 1), ma soprattutto si può maledire il maledicibile pensando a una gara cominciata troppo presto, dietro la safety car, e finita troppo tardi, sotto una pioggia torrenziale e con troppa poca luce (parole e concetti di Felipe Massa, non miei). E anche qui qualcosa è cambiato: gli orari di partenza dei gran premi d’Australia, Malesia, Cina, Russia e appunto Giappone. Perché non si ripeta.
Suzuka è stato il crocevia di mille storie; quella di Jules Bianchi è solo l’ultima, e la più brutta. Si torna a correre, sul luogo del delitto. Ma dal 5 ottobre scorso fino a oggi, invece del rombo dei motori a Suzuka c’è stato posto soltanto per un freddo silenzio assordante. Che il rumore riparta.