Vecchi vizi e nuove Virtus
Non si può dire che non ci abbia provato, l’ingegner Claudio Toti: in tempi recenti e meno. Partiamo dal fondo: malgrado una volontà di disimpegno annunciata già da alcuni anni, il presidente della Virtus Roma ha comunque ottemperato a tutti i propri doveri per potere iscrivere la squadra alla prossima Serie A. Erano necessari soldi per una ricapitalizzazione (per coprire il disavanzo di bilancio), una fidejussione e una quota annuale: tutto fatto.
Dopodiché, però, il presidente si è seduto sulla riva del fiume ad aspettare. Ed è qui che scatta la notizia del giorno: vista l’assenza di sponsor che permettano una programmazione di primo livello, verrà formalizzata la rinuncia alla Serie A e al consiglio federale, che si riunirà nel pomeriggio a Roma, verrà chiesta l’ammissione alla serie cadetta. La Virtus Roma cerca di autoretrocedersi: ne sapremo di più tra poche ore. Nel mentre, è giusto fare qualche considerazione.
La prima è che, banalmente, dopo un quindicennio da proprietario solo al comando, Toti non ce la fa più (materialmente o moralmente, comunque non fa differenza). La seconda è che a Roma ci si è anche divertiti: in questo lasso di tempo la casacca giallorossa è stata vestita anche, tra gli altri, da Jerome Allen, Carlton Myers, e poi Bonora, Santiago, Dejan Bodiroga, Anthony Parker, Hawkins, Fučka, van den Spiegel, Allan Ray, Gani Lawal (quello che ha firmato a Milano), oltre ovviamente a Gigi Datome, MVP della stagione 2012/3.
Trofei raccolti? Uno, il primo disputato: la Supercoppa del 2000, peraltro giocata solo in virtù di un regolamento inedito (invece di scontrarsi solo le vincitrici del campionato e della coppa Italia, fu disputata come una coppa settembrina tra 27 squadre). Per il resto, si è sempre ritrovata nel gruppo di testa, ma a distanza dai fuggitivi (prima la Virtus Bologna, poi Fortitudo e Treviso, per arrivare all’epopea senese, peraltro finita come sappiamo).
Grandi spese, decisamente piccole soddisfazioni (e, vedendo come è finita Siena, più di qualche rimpianto e rivendicazione). E già qualche passo indietro: troppi costi per tenere un PalaLottomatica (oltre 10.000 posti) troppo grande per la tifoseria, già da qualche anno si è tornati nel più piccolo PalaTiziano (omologato al minimo per la Serie A: 3.500). E ora un ulteriore ridimensionamento.
Era successo già a Treviso: addio annunciato con un paio d’anni di anticipo, con la famiglia Benetton che tiene le giovanili e annuncia disimpegno per la prima squadra: qualcosa si è mosso quando ormai era troppo tardi, e si è dovuti ripartire dalle serie minori e con una società nuova. A Roma, Toti chiedeva qualcosa di meno: poter condividere gli sforzi.
Trovare sponsor con un qualche peso: l’ultimo è stato Lottomatica, poi adesso Acea ha aiutato sì, ma in misura decisamente minore. Ed è anche un fatto di serietà: se non si è sicuri di poter finire la stagione, meglio rivedere al ribasso. Ripartire dal territorio (Roma ha ottimi settori giovanili: penso anzitutto alla Stella Azzurra) e dai giovani.
Non credo sarà un percorso facile, né veloce: a memoria, non rammento giocatori da Serie A prodotti negli ultimi lustri. Il nome più spendibile mi pare quello di Gianluca Marchetti, visto quest’anno a Cremona con una certa regolarità in rotazione (ma con medie quantomeno rivedibili); dietro potrei citare Santolamazza (ma cresciuto nella Fortitudo Roma), Daniele Bonessio, Tommaso Plateo: dignitose carriere nelle serie inferiori, ma niente di più. Insomma, la base potrebbe essere ancora tutta da costruire.
E per ripartire dal settore giovanile, servono istruttori all’altezza (soprattutto: in grado di capire il contesto, e di comprendere come i giovani di oggi siano ben diversi da quelli di quando il Banco di Roma vinceva lo scudetto con Bianchini in panca). È anche vero, però, che la Serie A è ormai diventato un campionato di sviluppo: se un tempo i migliori venivano da noi, oggi sfondano qui e poi monetizzano altrove.
Shane Lawal in Italia ha demolito Milano, e si è guadagnato il Barcellona: in Serie A ci sono squadre che, con il suo stipendio annuale, ci coprono il quintetto e la panchina. Forse è proprio per questo che Toti non ne può più: possibile che neanche a Roma si riescano a trovare risorse per fare una squadra di livello? Possibile, evidentemente. E allora tanto vale autoretrocedersi nel campionato cadetto: di sviluppo, si spera.