Come nasce la Dinamo Sassari pigliatutto
A inizio stagione, il pensiero era: su gara secca, Milano è una squadra battibile; ma in una serie non c’è storia. Lo scudetto vinto dall’Olimpia, un anno fa, doveva essere il primo di una dinastia. Ma a 24 ore da gara1 di finale il pensiero è ben diverso: la Dinamo Sassari si è rivelata imbattibile sia in gara secca, sia in una serie al meglio delle 7. Meglio: la vera vittoria della Dinamo è stata quella di arrivare a gara7, per poi portarla a casa (come fosse una gara secca) di riffa o di raffa, riacciuffando una partita che, a meno di nove secondi dal gong, era persa.
“Del futuro non voglio parlare. Questo è un fallimento totale che coinvolge tutti. … Complimenti a Sassari: ha meritato questa serie lunga e intensa. Ci hanno battuto tutto l’anno, è giusto che vadano in finale” ha dichiarato Alessandro Gentile dopo l’eliminazione. E ha ragione: su 11 incontri, Sassari ne ha portati a casa 6, tra cui tutti quelli decisivi (dalla Supercoppa a gara7, passando per la finale di Coppa Italia).
E così, Milano ha completato il suo personale slam al contrario: tanti milioni spesi per zero trofei in totale. Sempre mancato il classico soldo per fare una lira (quando, a ben pensarci, molte squadre di Serie A coprono il budget della prima squadra con quanto guadagna il solo Kleiza). È mancata una certa anima, e la capacità di fare quei piccoli gesti che girano una stagione: come smanacciare sotto canestro, e buttarla in rimessa (dal fondo o laterale), cosa che tutto il quintetto dell’Olimpia avrebbe potuto fare, sui due rimbalzi dopo il libero sbagliato da Dyson.
Quindi: tutti parlano di Gentile (spaccandosi tra chi lo assolve e chi lo condanna), ma pochi si rendono conto di quali siano stati i particolari che hanno permesso a Sassari di raggiungere la finale. Anzitutto un dettaglio mentale: dopo le due sconfitte di gara5 e gara6, nell’ultima apparizione la Dinamo è stata brutta, sporca e cattiva – nel senso che, pur nei momenti di difficoltà, ha macinato mentalmente Milano, restando sempre a distanza di sicurezza e mettendo sabbia nei costosi ingranaggi dell’EA7. Senza mai le forze per uccidere la partita, ma sempre in grado di restare viva e a portata di mano.
C’è poi da dire che per Sassari non si annunciava un’annata semplice, perché in estate l’ossatura della squadra era stata rifondata: con l’addio al basket di Travis Diener, e la risoluzione con suo cugino Drake, la Dinamo si era ritrovata a cambiare tutto il parco dei giocatori stranieri. E la quadratura non è arrivata subito: il lungo Miroslav Todić è durato fino a gennaio, Cusin ha messo assieme cinque partite prima di tornarsene a Cremona, Tessitori è passato da promessa a esubero. Ma un bravo va a Federico Pasquini, direttore sportivo dei sardi, nell’avere trovato tutti i correttivi giusti (Formenti, Mbodj, Kadji) per sostituire o per integrare la rosa.
E quindi ne è uscita una Sassari ancora con il gioco d’attacco tipico di Meo Sacchetti, ma stavolta giocato su una base più fisica e dinamica tale da non dover temere confronti. Magari questo equilibrio durerà poco, ma di fatto in questo momento la squadra è costruita con un bilanciamento invidiabile: Lawal è il centro più atletico del campionato (ma in gara1 non ci sarà), e come riserva ha un lungo (2 metri e 11) dai piedi rapidi come Kenneth Kadji; con Dyson, Logan e Sanders ha giocatori ottimi in palleggio, in grado di andare in velocità in campo aperto, e di reggere atleticamente e fisicamente; Sosa è il piccolo per le accelerazioni a un gioco già rapido; e poi gregari (Chessa, Formenti e Sacchetti), specialisti della difesa (Devecchi) e chiocce (Vanuzzo). Ognuno con il suo ruolo e i suoi spazi, tutti a portare il proprio mattone.
A tutto questo va aggiunto il manico rappresentato da Meo Sacchetti: allenatore con un’idea di gioco chiara, anche se quando vede i suoi giocatori perdere il controllo non riesce a dare il meglio di sé (come in gara6). E con un punto debole: percentuali di tiro, e quindi possibilità di vittoria, che si abbassano quando la difesa avversaria toglie velocità all’inizio della manovra di attacco sassarese: è a questo che una Reggio Emilia sulle ginocchia (Cinciarini-Della Valle-Kaukėnas: gli unici tre esterni a disposizione di Menetti) deve affidarsi. Se il campionato non ha più un suo padrone annunciato, il merito è di Sassari; e chi sarà il nuovo padrone dello scudetto non si saprà prima di una settimana.