Trentuno sfumature di Allegri(a)
Eppure non lo volevano in tanti, tantissimi. Ora si fa fatica a ricordarlo, ma quando Massimiliano Allegri, lo scorso 16 luglio, veniva presentato ufficialmente in quanto nuovo allenatore della Juventus Football Club, la grande maggioranza dei tifosi bianconeri non ha esattamente esultato, anzi.
Oggi, con il tricolore in mano e la possibilità di (perlomeno) eguagliare il miglior risultato in Champions degli ultimi quindici anni – senza dimenticare il comunque simpatico corollario della finale di Coppa Italia già conquistata -, a godere maggiormente del quarto trionfo consecutivo in Serie A della Juve è forse proprio Allegri, prima denigrato e adesso quasi un eroe. Non è tuttavia il titolo nazionale ad aver dato tanto lustro all’ex mister del Milan agli occhi della tifoseria bianconera, quanto più il fatto che il tecnico toscano ha riportato la Vecchia Signora a recitare in un palcoscenico internazionale che mancava senz’altro da troppo, troppo tempo. Ma non solo; la Juventus non arriva alle semifinali di coppa da favorita, assolutamente, tuttavia questa squadra dà l’idea di non essere una vittima sacrificale e di poter quanto meno dar fastidio ai mastodontici Blancos; pare insomma poterci stare tra le quattro migliori d’Europa, quanto meno per la capacità dimostrata di non guardare in faccia nessuno e approfittare anche delle congiunture favorevoli (sorteggi, sviste arbitrali, periodi di forma delle avversarie, etc).
Insomma, i tifosi bianconeri sono entusiasti di avere ancora all’orizzonte almeno tre partite fondamentali da giocare. Considerando che siamo già al tre di maggio non è poco, visto anche che nell’era contiana non è mai successo niente di simile (vincere l’Europa League sarebbe stata una nota di merito, intendiamoci, ma la Champions è altra mercanzia). Anzi, se qualcosa si rimproverava a Conte era proprio il cammino poco soddisfacente in ambito continentale dello scorso anno e, in generale, la scarsa attitudine al mercoledì che i suoi uomini mostravano non appena si scendesse in campo in un contesto non nazionale.
Bene, il nuovo conte, Max, ha cambiato tutto. È vero che alcune gare non sono state giocate proprio benissimo (la trasferta in Grecia con l’Olympiakos, l’andata con l’Atlético, entrambe le sfide col Monaco) ma, in fondo, conta rimanere dentro. E mentre il buon Allegri mieteva successi in Europa, per non farsi mancare nulla, è andato in fondo a tutte le competizioni disponibili in Italia, perdendo per strada – e solo ai rigori – unicamente la Supercoppa col Napoli. Come detto, ora Madama aspetta la Lazio in finale di Coppa Italia ma, soprattutto, s’è regalata l’ennesimo scudetto, vero manifesto programmatico di una “cura Allegri” che tanto bene ha fatto ai campioni nazionali uscenti (e rientranti) ma che pure rischia di venire dimenticato troppo in fretta e sminuito dalla febbre di Champions dei tifosi della Zebra.
A oggi i punti sono 79 (potrebbero diventare al massimo un comunque ragguardevole 91), le lunghezze di vantaggio sull’inseguitrice biancoceleste sono 17, in attesa che giochi, le giornate d’anticipo con cui è stato messo sotto chiave il titolo sono quattro. Non male, specialmente considerando che dopo l’annata monstre seguita dai Mondiali da cui uscivano i giocatori non ci si aspettava un simile dominio. E se è vero che la Roma s’è squalificata da sola, la Lazio paga un inizio titubante e tanti infortuni, le milanesi un’atroce inadeguatezza, la Fiorentina e il Napoli la loro cronica incompiutezza, d’altra parte va anche riconosciuto che Buffon e compagnia hanno saputo trovare nuove motivazioni e stimoli per imporsi ancora e di nuovo su tutti. Four in a row è tanta roba, non scherziamo. E tenere i giocatori sul chi va là è senz’altro uno dei meriti principali di Allegri.
L’allenatore labronico, inoltre, ha saputo entrare in punta di piedi sia nello spogliatoio, facendosi accettare e seguire pacificamente dai suoi nuovi uomini, sia nello sviluppo tattico della squadra, che ha cautamente aspettato prima di riplasmare secondo i suoi gusti e le sue convinzioni. L’inizio imperniato sul 3-5-2 che solo gradualmente è poi trasmigrato in un 4-3-1-2 è stato probabilmente il colpo di genio del mister toscano, che da parte sua ha avuto la pazienza di riorganizzare una squadra intensa, nervosa e capace di strappi improvvisi e devastanti in un meccanismo più raffinato, forse meno cinico, ma sicuramente più a suo agio nella gestione di gara e nella proposizione paziente di gioco. Certo, i ritmi si sono abbassati ma se la Juventus di Conte sapeva andare a due sole velocità (forte e fortissimo), quella di Allegri pare avere un rapporto molto meno conflittuale con l’acceleratore nonché un ventaglio di possibilità più ampio. In una parola, la Juve è maturata.
E un campionato dominato, condotto in solitaria per trentuno giornate su trentotto, dà la misura dell’importanza della revolutio allegriana sul lungo periodo. Dunque la morale è un nuovo scudetto: il trentunesimo totale (sul numero non è neanche più divertente dibattere, suvvia) nonché quarto di fila per il suo attuale club. Numeri grandi e impegnativi, certo, ma Max Allegri, da vittima sacrificale che doveva essere, ha scritto ancora una volta il suo nome sul registro dei vincenti.