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7 punti tra la prima e la seconda. Altrettanti tra la terza e la quarta, e siamo qui a cercare un senso a ciò che resta di un campionato in estate imprevedibile e in ghiaccio dopo poco più di metà.

Non un torneo indimenticabile, sinora, anche se qualche tema e polemica l’ha tirata fuori, in particolare durante la finestra di mercato. Se il 14 febbraio siamo qui a parlare di lotta per il secondo posto (bene saltare il preliminare, ma eccita pochino) e indaghiamo sull’ennesimo mancato salto di qualità delle Lazio e Fiorentina di turno (per non parlare della crisi delle milanesi), la situazione è grave e preoccupante. E non ci sono inversioni di tendenza, non ce ne possono essere.

Ecco, agli occhi di chi questo prodotto lo deve vendere, più che lo spettro di Carpi e Frosinone nella massima serie deve preoccupare un torneo già deciso in inverno, con la Juventus unica squadra seriamente di rango europeo (per ora), troppo avanti a livello strutturale, organizzativo ed economico rispetto a una Roma tutto proclami e poca costanza, e a un Napoli tardivo e fuori tempo massimo rispetto all’obiettivo più grosso. In particolare nella settimana dell’annuncio sui diritti televisivi della Premier League, ci sentiamo piccoli per davvero. Sono le cosiddette (ex) sorelle a doversi porre delle domande, a fare mea culpa se dopo anni di dominio bianconero non hanno saputo proporre un modello alternativo, in grado di competere o almeno dare filo da torcere.

Se siamo diventati, alla faccia dei distinguo e di vecchi luoghi comuni, come il campionato francese degli anni duemila (la Juventus viaggia verso il quarto titolo consecutivo, e strizza l’occhio al ricordo del Lione che fu), occorre che i responsabili rispondano dell’insuccesso del prodotto Serie A, dell’incapacità di studiare, programmare e raccogliere. Perché troppo spesso si è improvvisato, pensando di campare su blasone e nomi, su un passato lontano e perduto, ricordo sfumato di una grandeur che riempirà i musei, ma i problemi non li risolve, i gol non li fa. Perché troppo spesso piangiamo la partenza del campione di turno (Cuadrado l’ultimo in ordine cronologico), senza riflettere sulle cause di questa inerzia, o su come svecchiare il sistema e fare il salto di qualità economico e di programmazione.

A metà febbraio, siamo qui a parlare di un campionato ammazzato, di una distanza ampia tra il Napoli e la zona Champions, di una Roma più vicina ai partenopei che allo scudetto. Poco ci accende la corsa (?) alla prossima Europa League, spesso bistrattata o comunque considerata poca roba rispetto a una Champions ricca, contesa, ma al 99% affare già spartito visti i valori in campo.

In tutto questo, allora, non resta che sperare nelle più piccole. Quelle col mercato meno grosso, ma che la salvezza se la devono giocare sino alla trentottesima giornata. Sino alla fine, Cagliari, Chievo, Cesena e compagnia non tireranno indietro la gamba. A partire da questa giornata, strappando punti alle grandi per gridare che la Serie A è viva e sa divertire sino al fischio finale. Altrimenti non ce la faremo mai, non ne usciremo più.