Home » Fognini: da Arma di Taggia ad arma spuntata

L’abitudine è un’erba difficile da estirpare, specie quando assume le forme del vizio. Fabio Fognini, già ribattezzato il Balotelli del tennis, ha subito l’ennesima evoluzione della carriera al fine di ritrovare le sue, di abitudini; passato da speranza del tennis azzurro a causa persa, e ritornato temporaneamente a essere una speranza, pare aver intrapreso ancora una volta la strada dell’harakiri tennistico. Per essere più prosaici, ci è ricascato: è infatti stato eliminato al primo turno degli Australian Open in corso a Melbourne per mano del modesto Alejandro González, apparso a fine partita più incredulo per la vittoria che soddisfatto del risultato ottenuto.

Classe ’87, nato e cresciuto sul mattone tritato, proprio sulla terra battuta Fognini si è sempre espresso al meglio: non c’era da aspettarsi diversamente da un allievo della scuola tennistica che ha eretto Panatta e Pietrangeli a punti di riferimento senza tempo di un intero movimento sportivo. Con Panatta il ligure ha sempre tentato di costruire una continuità ideale, più cercata che meritata: un po’ scapestrato in campo e sempre al centro delle cronache rose, oltre che eclettico e creativo nelle giocate (certo, le veroniche di Adriano erano altra cosa..).

La svolta della carriera arriva nel 2011, con i quarti raggiunti a Parigi dopo il rocambolesco ottavo di finale vinto contro Montanes in precarie condizioni fisiche e la rinnovata consapevolezza di poter ambire a traguardi importanti. L’ingaggio di Josè Perlas come allenatore produce un periodo di transizione culminato in una stagione interlocutoria, quel 2012 macchiato anche da un brutto infortunio. Nel 2013 giungono i primi frutti del lavoro dello spagnolo: alla semifinale raggiunta a Montecarlo seguono il primo titolo vinto a Stoccarda, una seconda affermazione (consecutiva) ad Amburgo e una finale persa a Umago, che avrebbe potuto chiudere uno storico filotto di tre tornei conquistati in tre settimane.

L’ingresso nei primi 20 giocatori del mondo sembra il preludio al raggiungimento della tanto agognata maturità sportiva: e invece l’estate 2013 sul cemento americano ridimensiona fortemente le ambizioni del ligure, che mette in fila eventi irripetibili quali un game perso a Cincinnati con quattro doppi falli consecutivi e un’eliminazione al primo turno degli US Open con soli cinque game vinti al cospetto del n.128 della classifica, tale Ram (il cerchio si è chiuso con i 77 gratuiti offerti a González stanotte).

Ma l’altalena non vuole saperne di fermarsi: il 2014 si apre con il primo ottavo di finale raggiunto in uno Slam sul veloce, incontro poi perso contro un Djokovic ai limiti dell’ingiocabile (circostanza segnalata dallo stesso Fabio, che mima l’utilizzo di un joypad al cambio campo). Quindi la grande impresa di Napoli, dove Fognini conduce la nazionale azzurra alla vittoria nei quarti di Davis contro la Gran Bretagna di Murray, battendo proprio lo scozzese con una gran prestazione.

Mr. Hyde però è dietro l’angolo: a Montecarlo Fabio prima regala a Tsonga un incontro praticamente già vinto, poi nell’arco di mezz’ora inveisce contro il giudice arbitro, il suo allenatore e infine suo padre. Una performance rilevante persino per chi è riuscito a far ridere un giudice di sedia sui sacri prati dell’All England Club a causa della richiesta implorante di ritirargli un warning. L’onda lunga delle sue intemperanze lo conduce all’ennesima estate americana deludente, chiusa dalla brutta prestazione nella semifinale di Davis persa contro la Svizzera.

Dunque si arriva alla sconfitta di ieri, riassunta così dal tennista taggiasco: “Ho giocato male, fa male perché è un torneo dello Slam e tutti vogliamo far bene, ma per fortuna si tratta solo del secondo torneo della stagione e avrò tante occasioni per riscattarmi”.

Sono in molti, adesso, a domandarsi quale tra le tante versioni di Fognini ammirate nel corso degli anni possa essere più vicina alla realtà. La risposta sta probabilmente nel mezzo del ventaglio di soluzioni, con una leggera ma inevitabile pendenza dell’ago verso la parte meno nobile del tennista ligure: se è vero che tennisticamente può vantare qualità di primissimo livello, non è plausibile immaginare che queste siano abbastanza grandi da garantirgli la stabilità mentale che gli è sempre mancata. Anche Federer a inizio carriera distruggeva racchette, ma era (ed è) appunto Federer. Per il futuro, insomma, è auspicabile lasciare Fognini all’interno della giusta dimensione: quella di un tennista dotato di grandi mezzi e di ottime capacità di mandarli a monte.