Nous sommes tous Charlie Hebdo
Il 7 gennaio 2015 è l’11 settembre del giornalismo: lo ha sostenuto Mourad Boudjellal, proprietario dell’editore di fumetti Soleil Productions e presidente della squadra di rugby di Tolone. Difficile dargli torto, nel momento in cui vengono uccise 12 persone, che pagano con la vita l’essere più o meno direttamente coinvolte nella difesa delle libertà civili e sociali. Tra loro abbiamo un impiegato, due poliziotti, otto giornalisti e un ospite della riunione settimanale della redazione di Charlie Hebdo.
Mancano all’appello, tra gli altri: il direttore Stéphane “Charb” Charbonnier (qui una sua breve intervista sulla necessità della libertà di stampa), Jean “Cabu” Cabut, Bernard Maris, Bernard “Tignous” Verlhac, Georges Wolinski (di cui La Stampa fa un ricordo sentito). Non circolano ancora i nomi delle altre vittime.
Vittime di cosa? Vittime della libertà di espressione. Quella stessa che professavano e che portava la redazione di Charlie Hebdo a trovarsi felicemente in disaccordo su molti temi. Un principio è un principio: vale sempre, a prescindere. O ci credi, oppure non vale nulla.
Ciò che è successo ieri a Parigi è il risultato di una serie di circostanze che man mano hanno portato il mondo all’implosione filosofica. Non c’è più conoscenza, né voglia di conoscere, né rispetto per qualcosa che sia diverso da ciò in cui si crede. Viviamo in un mondo in cui non si combatte più per difendere un pensiero o un’idea propria, ma per smontare le idee altrui.
Ciò che è successo a Parigi è inspiegabile, a tratti scoraggiante. Perché vediamo un popolo (quello terrestre) che, per quanto sia biologicamente uguale in tutto e per tutto, è scisso mentalmente/socialmente in categorie arbitrarie (e, in quanto tali, assurde). Le ideologie ci sono sempre state, e si è sempre combattuto per esse. Ma un conto sono le ideologie, un altro conto i fanatismi (di qualsiasi colore, razza, religione).
A Parigi, ieri, sono morte persone (colleghi, pur con obiettivi ben diversi), ed è stata ferita brutalmente la libertà di parola e di espressione. Per questo, oggi, abbiamo deciso di cambiare la nostra testata in Charlie Hebdo: siamo tutti Charlie Hebdo. Con il cuore, mai con la pancia. E men che meno con il kalashnikov. Alla forza pura e semplice vogliamo e dobbiamo opporre la forza delle idee e dell’espressione di queste.
Sono morte dodici persone. Ma nessuno mai potrà uccidere la libertà di pensiero e di espressione.
Se cominciamo a dire che non si può disegnare più Maometto, poi non si potranno più disegnare del tutto i musulmani perché è peccato, e allora cos’altro non si potrà più disegnare? Dei maiali? O dei cani? O non si potranno più disegnare gli esseri umani? A quel punto, dovremmo vendere uno «Charlie Hebdo» fatto di sedici pagine bianche. Se cominciassimo a cedere su un dettaglio, sarebbe la fine della libertà d’espressione.