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La Juventus e la stagione che verrà, senza Antonio Conte

“La festa appena cominciata… è già finita”, cantava Sergio Endrigo qualche lustro addietro; proprio questo sembra essere l’adagio che accompagna (in relazione alla stagione iniziata da pochi giorni) i tifosi della Juventus da ieri sera, quando è stata ufficializzata la notizia delle dimissioni di Antonio Conte dalla carica di responsabile tecnico della prima squadra bianconera.

La stagione è partita subito con il botto, ma non con quello che i sostenitori bianconeri, la Juventus stessa e Antonio Conte si aspettavano alla chiusura dell’annata precedente, quando venne ribadita la volontà delle parti di continuare insieme (almeno) sino al termine del 2014/2015.

Le considerazioni qui riportate prescindono da Massimiliano Allegri e da qualsiasi altro allenatore che, sino a ora, era stato designato tra i “papabili” per la successione del tecnico salentino. Per rendere al meglio le varie idee appare necessario fare prima qualche passo indietro, ripercorrendo le tappe attraversate da Conte nel suo triennio sulla panchina della Juventus.

A parere di chi scrive la guida tecnica dell’ultimo triennio ha tratto dalle risorse umane, di volta in volta a disposizione, risultati ben superiori rispetto al reale valore tecnico dei calciatori:

  • nella stagione 2011/2012 la Juventus ha vinto lo Scudetto senza i favori del pronostico (reduce da due settimi posti): Conte ha saputo abbandonare la sua idea tattica del 4-2-4 per adattare lo schema ai calciatori a disposizione, proponendo dapprima un 4-3-3 e, successivamente, il 3-5-2 che è rimasto il modulo preferito sino al termine della terza stagione.Nel primo anno, con una rosa tecnicamente inferiore rispetto alla concorrenza, Conte ha saputo sfruttare al massimo il vantaggio di giocare soltanto il campionato, proponendo un calcio veloce, molto aggressivo e spettacolare in grado di superare i limiti tecnici della rosa e di creare palle gol in quantità industriale per venire incontro alle esigenze degli attaccanti (che non erano certo al livello di Tévez e Llorente);
  • nella stagione 2012/2013, forte di una rosa più solida, dell’indebolimento della concorrenza e della maggiore consapevolezza acquisita dai calciatori rispetto ai propri mezzi, Conte ha saputo ripetersi in Serie A, nonostante l’impegno in Champions League, insegnando alla squadra a gestire le energie e proponendo un calcio meno spettacolare, ma più funzionale all’obiettivo da raggiungere: la vittoria. Anche qui, missione compiuta con ampio margine sulla seconda classificata in campionato;
  • nella stagione 2013/2014, con l’arrivo di Tévez e Llorente, l’allenatore ha accentuato ulteriormente il pragmatismo della squadra, affidandosi all’indiscutibile predominio qualitativo, in campionato, rispetto alle avversarie e facendo del cinismo tattico l’arma principale della Juventus: poco spettacolo, tanti risultati e primato assoluto di punti (102) in campionato, oltre a un ruolino di marcia (pur deludente) che ha portato la squadra bianconera a giocarsi la semifinale di Europa League.

Fine della stagione, esternazioni di reciproche soddisfazione e stima tra la società e il tecnico, mancato rinnovo, ma volontà di proseguire (come detto) sino alla scadenza del contratto. Poi, la notizia che è già stata ampiamente commentata da tutti gli organi di informazione: le dimissioni di ieri, a ritiro già iniziato da due giorni.

Cosa resta della Juventus tri-campione d’Italia? Certamente la rosa e la mentalità costruite sin qui, ma anche la consapevolezza della fine di un ciclo. La domanda che ci si pone è non tanto relativa al perché del divorzio, ma al perché della mancata separazione al termine della scorsa stagione.

Le discutibili tempistiche dell’addio e il clamore che questo ha generato alimenteranno un senso di smarrimento nei calciatori, lasciando nei più la percezione che la società navighi a vista e pecchi nella programmazione, indipendentemente dall’effettiva attribuzione delle responsabilità di questo divorzio all’una o all’altra parte.

Qualsiasi successore sarebbe stato la scelta giusta in quanto non esiste, a oggi, una scelta giusta: il vuoto lasciato da Conte, l’estemporaneità dell’avvicendamento (anche in relazione al mercato in divenire), la confusione generata nel gruppo (legatissimo al mister salentino) e la chiusura di un ciclo vincente porteranno, a nostro avviso, a una stagione di transizione, indipendentemente dalla guida tecnica.

Arrivati a questo punto, forse, verrebbe (nel nostro piccolo) da suggerire alla Juventus di sollevare il gruppo dalla pressione della vittoria a tutti i costi, parlando apertamente alla squadra, ai tifosi e alla stampa di un’annata di ricostruzione.

Suggeriremmo alla Juventus di approfittare di questa fase per monetizzare il più possibile con le cessioni dei calciatori che nel triennio di Conte hanno raggiunto la loro valutazione economica massima e di rinnovare la squadra con investimenti mirati in un’ottica di medio-lungo periodo, puntando prevalentemente su ragazzi giovani e talentuosi.

In passato è accaduto più volte che l’avvicendamento di una guida tecnica così penetrante (sia a livello di gruppo, sia a livello societario), come è stata quella di Antonio Conte nella Juventus, lasciasse dietro di sé calciatori svuotati psicologicamente e fisicamente; in queste situazioni il profondo rinnovamento della rosa è una necessità prioritaria per evitare un lungo periodo di stagnazione.

La Juventus ha saputo vincere prima di Conte, con Antonio Conte e, certamente, tornerà a vincere anche dopo Conte; la priorità della società deve essere quella di ridurre il più possibile la finestra temporale tra l’ultima vittoria e la prossima, dimostrando di saper programmare molto meglio rispetto a quanto ha evidenziato, con modalità surreali, nella chiusura del rapporto con uno dei più grandi allenatori della storia bianconera.